È una discesa senza fine quella del Perugia che, ieri sera, sul campo della Lucchese, al termine dei cinque minuti di recupero, ha visto materializzarsi lo spettro dei play out. D'altronde, lo si sapeva da diversi giorni che la gara del "Porta Elisa" avrebbe costituito il classico crocevia da cui molto si sarebbe deciso del tipo di finale di campionato che avrebbe atteso i Biancorossi. Lo sapevano i tifosi, che sabato mattina sono accorsi in massa agli allenamenti per dare un segnale di vicinanza, probabilmente l'ultimo, alla squadra, lo sapeva la Società, ieri presente nella persona del Presidente Faroni, sicuramente tutt'altro che contento della prova, lo sapevano, infine, squadra e tecnico. A proposito di quest'ultimo, lo ribadiamo con forza, dispiace per l'uomo che, anche ieri sera, ai nostri microfoni, con la lucidità ed il garbo che lo hanno sempre contraddistinto fin dal giorno del suo arrivo, ha esternato il proprio pensiero. Zauli è apparso deluso, perché ci teneva a fare bene in una piazza blasonata, difficile, ma, proprio per questo, stimolante. Lo aveva detto a chiare note sabato mattina, mettendoci la faccia, come da lui stesso ricordato e, molto probabilmente, anche per questo, si sarebbe aspettato una reazione ben diversa da parte di un gruppo che non ha mai dato l'impressione di seguirlo appieno.
Poi c'è l'errore umano ed anche questo ci può stare, perché proporre determinati concetti tattici, anche con una certa perseveranza, ad una squadra che non aveva in rosa le caratteristiche per metterli in atto, ha, senza dubbio, limitato le possibilità di ottenere i risultati. Ma non è che il cambio modulo, da due o tre partite a questa parte, abbia, in fondo, giovato chissà che. Perché cambiare l'ordine degli addendi o aggiungerne di nuovi (Broh, Riccardi fino all'infortunio, Joselito e lo stesso Kanoute, che ieri ha fatto vedere di sapersi muovere), al di là dell'impegno professionale, non può portare nulla di buono se non si forma quell'amalgama da cui dipendono i successi di una squadra. Anzi, i nuovi arrivati è come se si fossero già immedesimati nel contesto di mediocrità che, in questo momento, caratterizza, purtroppo, il calcio a Pian di Massiano. E quel "Ci sono qualità difficili da allenare..." proferito dal tecnico romano suona un po' come una sorta di rassegnazione, ma, allo stesso tempo, come un campanello di allarme per il futuro. Perché, per quanto il Perugia di quest'anno, checché ne dica la classifica, non sia inferiore ad una Vis Pesaro o ad un Pineto, se, accanto alle doti tecniche, non si disponga del giusto temperamento, del carattere, di quella famosa mentalità così decisiva per calarsi nella realtà di un campionato di qualsivoglia categoria, tutto diventa tremendamente complicato. Ed umiliante, se solo si pensi che il Perugia, ieri sera, giocava contro una formazione che avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per tirare i remi in barca (guai societari, stipendi non pagati da mesi, etc...), oltrettutto, dopo essere passati in vantaggio e con tutte le conseguenze ambientali del caso. "Perugia non ha tempo di far crescere i propri giovani", prosegue il tecnico romano, sulla cui posizione, in queste ore, la Società starà facendo inevitabili riflessioni. Cambiare tanto per farlo non ha alcun senso, soprattutto alla luce del fatto che, probabilmente, in questo momento, servirebbe più uno psicologo che un nuovo allenatore. Ma è palese che un'eventuale, quanto probabile, ulteriore caduta domenica a Chiavari contro l'Entella, potrà essere decisivo.
E, con un obiettivo salvezza che, a questo punto, appare l'unico perseguibile e tutto fuorché scontato, la Società dovrà schiarire le proprie idee ed evitare di precipitare in un baratro senza fine.



Per Perugia2005News Alessio Torzuoli

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