Svolgere la professione del giornalista non è uno scherzo, lo si sa, farlo per narrare le gesta della squadra del proprio cuore fa sentire, però, dei privilegiati. D'altronde, se ne sono rimasto affascinato a tal punto da cimentarmici, mettendo tutto me stesso, partendo da zero, facendo chilometri su e giù per l'Italia insieme al mio collega ed amico Bomber e, di fatto, saltando dall'altra parte dello steccato, quello, cioè, che separa chi ha la fortuna di bere Borghetti e birre, cantare cori ed arrabbiarsi e chi deve mettersi a scrivere su un tavolino ribollendo dentro, un po' di lucida follia deve esserci. Come quella che percepisco ogni volta mi accingo ad entrare in sala stampa, non avendo che pochi istanti per mettere da parte le emozioni e sentire la voce dei protagonisti. La cosa non è banale come potrebbe accadere di pensare, perché da tifoso mi rendo conto che chiederei tanto altro e andrei, certamente, fuori le righe, mentre il ruolo che svolgo mi porta ad attenermi ai fatti, a porre domande, si spera, attinenti, talvolta provocatorie, ricostruendo ciò che è stato, senza avventurarmi in valutazioni personali che non spettano al giornalista e di cui al tesserato non frega nulla. Sarà la mia innata indole di tifoso innamorato che cerca sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno e un po' di speranza in fondo al tunnel di un campionato, l'ennesimo, che sta giungendo al termine, ma anche ieri ho avuto modo di sperimentare l'effetto calmierante delle poltrone, del microfono in mano, delle parole che, ne sono sicuro, sono state dichiarate da chi sa di trovarsi in una barca non facile da condurre in porto. Perché il Perugia di questi tempi non si sa più cosa sia, a tratti ricorda un po' il relitto della Concordia quando comparve all'orizzonte del porto di Genova in attesa di essere smontato in mille pezzi. Una squadra che domenica a Cesena concluderà il proprio percorso di crescita e, con tutti i difetti del mondo, insieme a qualche pregio, si accingerá ad affrontare, non si sa con quali motivazioni, il primo spareggio da dentro o fuori dei play off, una società che, in ogni caso, sa di avere le ore, ormai, contate per capire cosa fare da grandi. Giugno è vicino e c'è una città intera, anzi no, correggo, una tifoseria intristita e divisa che attende di conoscere il proprio futuro. Poi arrivano loro, Cristian Dell'Orco, educatissimo, un bravo ragazzo, come potresti non credere a ciò che ti dice, è preoccupato, i play off di C sono un'impresa solo a capire con chi devi giocare e quando... e poi lui, Mister Formisano. È un ragazzone di trentatré anni che ha idee grandiose, si capisce da un miglio che studia e ristudia, quasi come fosse ancora sui banchi di scuola, la migliore soluzione con cui disporre la squadra che si è trovato ad allenare. Tra braccetti di destra e sinistra, pressioni a tre, costruzioni a quattro, dettagli decisivi e terzini con la velleità di creare scompiglio nell'area altrui. Mi sono tranquillizzato, ho capito che ce la metteranno tutta e che manchi solo una partita per continuare a sperimentare. In fondo contro il modesto Arezzo non è stata che la penultima tappa dello stillicidio. Poi ci sarà l'inevitabile resa dei conti, quella che un tempo era l'interrogazione davanti al prof tanto temuto, la prima gara da dentro o fuori ed, infine lui, il mese di giugno, quello del rompete le righe. Quello che, tra funi e scialuppe di salvataggio, astronavi e piante di fico che si arrampicano su quei gloriosi spalti che restano in piedi in attesa di capire cosa diventare, deciderà il destino dei nostri colori.


Per Perugia2005News Alessio Torzuoli

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